Emiliano Brancaccio parla di Grecia e austerità

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Professor Brancaccio, alle ricette della Troika non c’è alternativa?

Sarebbe come dire che non c’è alternativa al suicidio. Quelle ricette verranno probabilmente ricordate come uno dei più colossali inganni nella storia della politica europea. Teniamo presente che la Grecia le applica già da quattro anni, con enormi sacrifici per la popolazione: rispetto al 2010 la pressione fiscale è aumentata di otto punti percentuali rispetto al Pil e la spesa pubblica è diminuita di quasi quattro punti, corrispondente a un crollo di trenta miliardi; i salari monetari sono caduti di dodici punti percentuali e il loro potere d’acquisto è precipitato in media di quattordici punti, con picchi negativi di oltre trenta punti in alcuni comparti. La Commissione europea ha sempre sostenuto che queste politiche non avrebbero depresso l’economia. Ma le sue previsioni sull’andamento del Pil greco sono state seccamente smentite: per il 2011 la Commissione previde un Pil stazionario, che in realtà crollò di sette punti; per il 2012 annunciò addirittura una crescita di un punto, e fu sconfessata da una caduta di sei punti e mezzo; nel 2013 la previsione fu di crescita zero, e invece il Pil greco precipitò di altri 4 punti. Anche per il 2014 si registra uno scarto tra le rosee stime di Bruxelles e la realtà dei fatti ad Atene. Gli economisti usano dire che nemmeno la passeggiata casuale di un ubriaco sui numeri avrebbe potuto fare peggio…

Quale credibilità si può assegnare a chi commette errori così gravi e reiterati?

La verità, come ormai riconoscono a denti stretti persino al FMI, è che le ricette della Troika rappresentano la causa principale del crollo della domanda e della conseguente distruzione di produzione e occupazione avvenuta in Grecia: negli ultimi cinque anni, ben ottocentomila posti di lavoro in meno. Né si può dire che tali ricette abbiano stabilizzato i bilanci: il crollo della produzione ha implicato un’esplosione del rapporto tra debito pubblico e Pil, aumentato in cinque anni di trenta punti percentuali

A Salonicco Syriza ha stilato una carta programmatica in caso di vittoria: tra i punti cardine la rinegoziazione del debito pubblico, la moratoria sul pagamento degli interessi e un New Deal Europeo che possa far uscire dalla depressione economica i Paesi del Sud. Un piano di riforma radicale dell’Europa che, secondo Tsipras, la Troika sarà costretta ad accettare perché gran parte del debito greco è ancora in mano, in primis, al Fmi e ai banchieri tedeschi. Andrà realmente a finire così?

L’esistenza di un debito estero non è un motivo sufficiente per ritenere che un eventuale governo guidato da Syriza possa modificare in misura tangibile le politiche economiche europee. Non dimentichiamo che proprio queste politiche hanno contribuito ad allargare la forbice tra paesi deboli e paesi forti dell’Unione: con la Grecia, l’Italia e il resto del Sud Europa che hanno subìto un crollo degli occupati e un boom delle insolvenze delle imprese, mentre la Germania ha visto aumentare in modo significativo l’occupazione. E’ esattamente lo scenario di “mezzogiornificazione” europea e di violenta centralizzazione dei capitali al quale ambiscono i portatori degli interessi prevalenti, in Germania e non solo. Questi soggetti stanno ottenendo quel che volevano: perché dovrebbero mutare la loro posizione a seguito di una vittoria di Tsipras? Al limite offriranno un’austerità appena un po’ mitigata, un piatto avvelenato che condannerebbe Syriza alla stessa agonia che ha ridotto ai minimi termini il Pasok di Papandreou…

Ma nel progetto di Syriza non è prevista l’uscita dall’euro…

Soprattutto in tema di moneta, ciò che una forza politica dichiara in campagna elettorale vale solo fino a un certo punto. Fare propaganda sull’uscita da un regime monetario espone ad attacchi speculativi. Ecco perché la storia offre moltissimi esempi di leader politici che prima giurano fedeltà all’assetto monetario vigente ma poi lo abbandonano senza troppo indugio. Certo, se Tsipras vincesse e si ostinasse a escludere l’opzione di uscita dall’euro, una elementare logica macroeconomica induce a temere che finirebbe schiacciato fra le tenaglie dell’austerity e andrebbe quindi a ficcarsi in un imbuto politico senza sbocco. Se così andasse, sarebbe l’ennesima meteora della politica europea e la sinistra continentale rischierebbe di esser nuovamente cacciata nel cono d’ombra dell’irrilevanza…

Ragioniamo per ipotesi. Se un eventuale governo Tsipras in Grecia decidesse di considerare l’opzione dell’uscita dall’euro, quali problemi dovrebbe affrontare?

Il successo di questo tipo di operazioni dipende soprattutto dalla capacità di tenere in equilibrio i conti verso l’estero. La storia degli abbandoni dei regimi monetari ci dice che i creditori internazionali possono minacciare ben poco se un paese riesce a bilanciare import ed export e quindi, almeno per un certo periodo, può evitare di contrarre nuovi debiti all’estero.

*Estratto dell’intervista a Emiliano Brancaccio,

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